IVA: reverse charge in edilizia, fra vecchi dubbi e novità 2015
In ambito IVA, il reverse charge è un meccanismo mediante il quale l’imposta viene assolta a cura del cessionario / committente, in luogo del cedente / prestatore. La normativa italiana di riferimento è contenuta nell’art. 17 del DPR 633/72.
Previsto originariamente come metodo attraverso il quale l’acquirente italiano doveva assolvere l’imposta dovuta in Italia per acquisti effettuati da fornitori esteri (prestazioni di servizio comunitarie ed extra ue), è stato via via nel tempo applicato anche ad altre e diverse fattispecie.
Dal 01 gennaio 2010 questo regime è applicabile anche per le vendite effettuate da soggetti stranieri in Italia, per merci già esistenti sul territorio dello Stato e anche se gli stessi cedenti non residenti risultano identificati ai fini IVA in Italia (sia in maniera diretta, sia per il tramite di un rappresentante fiscale).
Questo meccanismo è stato visto come uno strumento di contrasto alle frodi e all’evasione dell’imposta. Applicando questo meccanismo infatti, si evita la possibilità fraudolenta di generare cartiere che siano in grado di “regalare” crediti IVA a società operative, salvo poi sparire nel nulla e non versare i relativi debiti di imposta. Così nel tempo è stato introdotto come regime da applicare anche in alcuni settori in cui vi è maggiore propensione sia a non dichiarare l’IVA sulle operazioni imponibili, sia soprattutto a non effettuare il versamento dell’imposta dovuta. Fra questi il settore in cui tale meccanismo ha avuto il maggiore impatto è sicuramente quello dell’edilizia.
Dapprima, con effetto dal 01 gennaio 2007, è stato introdotto il comma 6 lettera a) dell’art. 17 del DPR 633/72, secondo il quale il reverse charge si applica anche alle prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore.
Successivamente, con il riordino della normativa IVA relativi ai fabbricati, con effetto dal 01 gennaio 2008 è stato introdotto il comma 6 lettera a-bis) dell’art. 17 del DPR 633/72, secondo il quale il reverse charge si applica alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato di cui ai numeri 8-bis e 8-ter ) del primo comma dell’articolo 10 per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione (ovvero solamente per le cessioni di fabbricati civili e fabbricati strumentali per i quali la cessione è imponibile per opzione, e non come regime naturale).
Infine, a partire dal 01 gennaio 2015, la legge di stabilità ha aggiunto la lettera a-ter) al comma 6 dell’art. 17 del DPR 633/72, secondo il quale il reverse charge si applica anche alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.
Anche se tutto sembra apparentemente semplice, in realtà la normativa nasconde delle insidie che se non gestite correttamente, possono indurre in errore i contribuenti, con applicazione di pesanti sanzioni.
Vediamo e analizziamo con ordine alcuni aspetti critici.
art. 17 comma 6 lettera a) DPR 633/72
Affinchè si possa applicare il reverse charge, si deve trattare di:
- prestazioni di servizi o di manodopera (sono quindi escluse le cessioni di beni e le forniture, anche se con posa in opera);
- prestazioni effettuate in regime di subappalto (cioè le prestazioni non devono essere rese al committente proprietario, ma a loro volta a un subappaltatore o all’appaltatore principale. Ne consegue che se sono rese a un soggetto che effettua vendita di beni con posa nei confronti del committente, non sono ricomprese nella normativa in commento. Sono invece da comprendere nella normativa i servizi forniti ai soggetti appaltatori o ad altri subappaltatori in base ad un contratto di mera prestazione d’opera, anche se non si è di fronte a un vero e proprio subappalto);
- prestazioni effettuate nel settore edile, comunemente indentificate con le attività elencate e descritte nella sezione F della tabella ATECOFIN 2004. l’attività edile deve essere (a tale riguardo, risulta ormai chiarito in maniera unanime dalla prassi, che non si deve guardare al codice dell’attività prevalente del soggetto prestatore, quanto nello specifico alla natura intrinseca della prestazione in esecuzione, che quindi può anche risultare occasionale o secondaria rispetto a un’attività prevalente diversa da quelle previste nella sezione F).
Il punto ad oggi ancora più delicato riguardo questa normativa, è la corretta identificazione della natura giuridica del rapporto che si viene ad instaurare fra prestatore e committente.
Si ritiene che fondamentalmente si devono distinguere due diverse fattispecie, che devono considerarsi ricadenti nel regime del reverse charge:
- i contratti di subappalto: sono quei contratti con i quali un soggetto si impegna a prestare la propria opera in maniera non subordinata, mediante una propria organizzazione, e con assunzione del rischio del risultato, al fine di ottenere un prodotto / opera diverso e nuovo rispetto ai fattori utilizzati per produrlo. Tale contratto si differenzia dalla fornitura di beni con posa per le diverse caratteristiche e rischi che ricadono sul prestatore piuttosto che sul committente. La prassi ha chiarito che si deve fare riferimento alla volontà contrattuale delle parti, che va ricercata analizzando il complesso delle clausole previste, che devono evidenziare e qualificare la causa ultima del contratto. Risulta quindi importante per chi opera in questo settore, impostare correttamente i propri contratti di vendita, e avere chiarezza e coerenza fra quanto previsto contrattualmente, quanto effettivamente svolto nella pratica, e il regime IVA utilizzato nella fatturazione.
- le prestazioni d’opera: è stato chiarito dalla Prassi che le il regime del reverse charge si deve ritenere applicabile anche per quei servizi forniti ai soggetti appaltatori sulla base di un contratto di prestazione di servizi. La differenza fondamentale fra il contratto di appalto e quello d’opera riflette le differenti caratteristiche strutturali e dimensionali dell’impresa. Entrambi i contratti hanno in comune l’assuzione, nei confronti del committente, di un’obbligazione di realizzare dietro corrispettivo un’opera o un servizio. La differenza fondamentale tra i due contratti riguarda invece il fatto che nell’appalto l’esecutore si avvale di una propria struttura organizzativa articolata, mentre nel contratto d’opera prevale l’attività lavorativa propria del prestatore o di suoi dipendenti (secondo il concetto giuridico di piccola impresa). Ne consegue che risultano soggette a reverse charge anche le prestazioni derivanti da contratti d’opera, e cioè in base a contratti in cui il lavoro personale del prestatore risulta prevalente rispetto alla organizzazione dei mezzi approntati per l’esecuzione del lavoro. Come nel caso del subappalto, anche in questo ambito si deve ritenere che debbano essere escluse dal reverse charge le forniture di beni con posa in opera, poichè per tali operazioni la posa in opera assume una funzione accessoria.
Si precisa, infine, che dall’analisi di tutta la prassi sviluppata dal 2007 ad oggi, risulta non influente il rapporto fra costo dei beni e manodopera fornita, con la conseguenza che tale criterio di prevalenza non può e non deve essere utilizzato per valutare se si tratta di una cessione con posa piuttosto che di un contratto appalto, risultando determinante solo la volontà contrattualmente espressa dalle parti per stabilire se sia prevalente l’obbligazione di dare o quella di fare.
art. 17 comma 6 lettera a-ter) DPR 633/72
Come già accennato, dal 01 gennaio 2015 il meccanismo del reverse charge risulta applicabile alle prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.
A tale proposito si deve evidenziare che a ormai due mesi dall’entrata in vigore delle modifiche normative, non c’è stato ancora un chiarimento ufficiale sulla portata della nuova normativa.
Queste alcune considerazioni che si possono trarre dall’analisi del testo normativo, dei lavori parlamentari, e del contesto normativo europeo:
- si parla di edifici, e non di edilizia. Si presume quindi che si debba trattare solo di fabbricati, e non anche di terreni ed aree esterne;
- per queste prestazioni non è più necessario il requisito del subappalto, ovvero che siano effettuate a favore di altri subappaltatori o appaltatori principali, potendo quindi essere prestate anche a favore di altri soggetti (committenti, proprietari, utilizzatori);
- rimangono invece molti dubbi sulla portata oggettiva delle prestazioni. Soprattutto con riferimento agli impianti (le attività di manutenzione e riparazione devono considerarsi comprese?). Si auspica a tale riguardo un celere intervento da parte degli organi preposti al fine di fare chiarezza ed evitare comportamenti non corretti.
Per facilitare eventuali approfondimenti, si riporta l’elenco della principale prassi sull’argomento:
C.M. 37/E 29/12/06
R.M. 164/E 11/07/07
R.M. 172/E 13/07/07
R.M. 220/E 10/08/07
R.M. 76/E 04/03/08
R.M. 113/E 28/03/08
R.M. 255/E 20/06/08