Negozi e commercio al dettaglio: quale futuro?

Innanzi tutto questo incremento è il frutto di una forte crescita degli anni passati (2004-2008), seguita dalla stagnazione degli anni 2009-2010, e dalla crisi degli ultimi anni. Gli unici segnali di ripresa si hanno nella seconda metà del 2014.
Quello che più ci preoccupa però, è l’analisi dello spaccato di questi numeri. Questi incrementi sono caratterizzati da un elevatissimo turnover, a fronte del quale quasi il 50% delle imprese aperte nel primo anno della crisi (2011), non è sopravvissuta al primo triennio e risulta ad oggi già chiusa.
Traspare quindi un pò di disperazione, di negozi aperti come tentativo, ma incapaci di affermarsi e di arrivare a generare reddito e quindi destinati a chiudere. Di risorse e risparmi consumati, piuttosto che di ricchezza generata.
Altro dato allarmante, il fatto che questo indice positivo è di fatto trainato e sostenuto dal boom del commercio ambulante. Cosa significa? La crisi dei negozi tradizionali. Molti, per sopravvivere, chiudono i negozi in centro e delocalizzano. O addirittura spostano la propria attività su aree pubbliche o itineranti. Non proprio un bel segnale.
L’evoluzione del commercio segue probabilmente l’andamento della domanda; è quindi figlio anch’esso della globalizzazione, che ha portato tutti noi a volere tutto, subito, e a poco prezzo. Fa nulla se questo sta sacrificando la qualità, l’innovazione, e la nostra economia.
I pochi negozi che resistono, lo vediamo anche nella nostra realtà di provincia, sono quelli storici. Clienti affezionati che riconoscono e vogliono ancora la qualità e il servizio (pochi purtroppo rispetto alla massa), offerta di prodotti di qualità o di marca, e consolidamento dei costi di struttura (spesso a conduzione familiare e con muri di proprietà, con costi di avviamento già ammortizzati nel tempo, non hanno necessità di elevati livelli di incassi), permettono infatti più facilmente a questi negozi di sopravvivere in attesa di tempi migliori.